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Negli ultimi anni sono aumentate esponenzialmente le citazioni giudiziarie per mobbing.
Il termine mobbing è diventato oramai una parola di uso comune, e descrive di solito una vasta gamma di situazioni che vanno dalla descrizione di condizioni di lavoro molto disagiato, alla scorrettezza che ci ha fatto il nostro capo o un collega. In alcuni casi ci si appella alla parola “mobbing” per ottenere vantaggi da una situazione negativa. Ma cosa differenzia un caso di “vero mobbing” da comportamenti aggressivi e/o conflittuali, che per quanto spiacevoli, fanno comunque parte dei possibili, fisiologici comportamenti nei gruppi di lavoro?
Il termine mobbing deriva dall’inglese “TO MOB” che significa attaccare in branco: è quindi un termine etologico, frequentemente utilizzato per definire il comportamento animale. In questo termine è quindi facilmente identificabile la componente aggressiva, e la presenza di una vittima. Questo termine spostato in ambito lavorativo, molto più complesso e strutturato di quello etologico, vede coinvolti elementi di natura organizzativa (leadership, organizzazione, regole, burocrazia), la sfera individuale (ognuno di noi ha caratteristiche diverse di risposta allo stress), e relazionale (l’azienda è un contesto di gruppo). In generale si parla di mobbing quando una persona sul luogo di lavoro viene vessata, offesa e deresponsabilizzata per un lungo periodo di tempo. Non si parla quindi di mobbing quando l’azione aggressiva è sporadica o di breve durata. L’essere un atto ripetuto e reiterato nel tempo è quindi lo spartiacque tra mobbing e semplici scorrettezze nel luogo di lavoro.
Esistono in psicologia giuridica diverse “categorie di azioni” che possono essere utilizzate per far mobbing, tra esse:
- Misure organizzative quali demansionamenti, compiti al di sopra o al di sotto delle competenze della persona…
- Isolamento sociale
- Attacchi alla vita privata ed alle ideologie
- Violenza fisica
- Violenza psicologica e verbale
- Pettegolezzi ed attacchi alla reputazione
I comportamenti di mobbing provocano danno nell’individuo e l’organizzazione: un lavoratore mobbizzato è meno motivato e quindi meno produttivo ed oppone rivendicazioni ed astio nell’ambiente di lavoro (assenteismo, meno disponibilità, minore soddisfazione). Ma soprattutto crea alla persona numerose reazioni emotive e somatiche.
Si è stimato che una persona colpita da mobbing produca il 40% in meno per l’azienda…Di solito la diagnosi più frequente associata al mobbing è quella di “disturbo post traumatico da stress”, con condizioni che includono il trovarsi a rivivere le memorie degli eventi negativi, il provare una forte angoscia di fronte a stimoli che ci ricordano alcuni accadimenti, incubi o disturbi del sonno, irritabilità, ipervigilanza.
A questi sintomi psicologici, si affiancano anche somatizzazioni e disturbi fisici quali: tachicardie, disturbi alimentari, aumento ipertensione, disturbi digestivi, manifestazioni cutanee… sono tutte reazioni che sopraggiungono quando i livelli di stress percepito diventano alti…
In psicologia esistono diversi strumenti per “misurare” l’entità dell’azione di mobbing e lo stato psicofisico del mobbizzato: essi misurano però la percezione del lavoratore di essere vessato, e non la visione oggettiva del fenomeno. È per questo che chi ha intrapreso una causa legale per mobbing si è trovato spesso di fronte ad un percorso totalmente in salita. Inoltre la mancanza di una normativa esplicita e chiara a questo riguardo si ripercuotano anche in sede giudiziaria: non è infatti facile dimostrare che i danni subiti, di qualsiasi natura essi siano, sono la diretta conseguenza delle azioni mobbizzanti. Il fatto che il mobbing sia multideterminato da diversi fattori (individuali, organizzativi, relazionali) rende difficile determinare una relazione di causa effetto certa e quindi l’attribuzione del danno subito.